Metaverso

Sì: online siamo meno onesti e più aggressivi. E nel metaverso andrà peggio

Una ricerca di IIT in collaborazione con La Sapienza dimostra che meno ci sentiamo rappresentati dai nostri avatar, più siamo disposti a fare scelte moralmente discutibili

Su Internet siamo abituati a comportarci peggio che nel mondo reale, a scrivere cose che non diremmo mai, pure a mentire e magari a fingerci chi non siamo: non è una novità, è così più o meno da sempre, ancora di più dall’arrivo di Facebook e degli altri social network. L’espressione leone da tastiera è stata creata proprio per descrivere questo tipo di atteggiamenti.

La novità è che nel metaverso, e in generale nei mondi virtuali, la situazione non solo non migliorerà ma probabilmente peggiorerà, a meno di non prendere alcune contromisure. Che è una cosa che un po’ si poteva immaginare, ma che ora è dimostrata da uno studio condotto dall’Istituto italiano di Tecnologia in collaborazione con l’Università Sapienza e la Fondazione Santa Lucia, i cui risultati sono stati pubblicati su iScience (qui).

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Per capirlo, il team di ricerca Neuroscience & Society di IIT, guidato da Salvatore Maria Aglioti, ha condotto un esperimento semplice ma significativo: ha sviluppato un videogame in ambiente virtuale in cui i vari partecipanti dovevano sfidarsi a coppie in una partita a carte per vincere denaro reale. Secondo il regolamento, il primo giocatore doveva pescare una tra due carte coperte, sapendo che una determinava la vittoria e l’altra la sconfitta. Il punto è che la carta pescata veniva però mostrata solo al secondo giocatore (al suo avatar, cioè), che poteva eventualmente decidere di mentire e favorire se stesso, consapevole del fatto che nessuno lo avrebbe scoperto se avesse deciso di barare.

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L’altro punto determinante è che il secondo giocatore portava avanti il gioco a diversi livelli di immedesimazione con l’avatar da lui controllato, che di volta in volta era via via più realistico: l’idea era di variare il cosiddetto senso di appartenenza del corpo (in inglese, sense of body ownership), creando un legame più o meno forte con la versione virtuale di sé, per capire se questo influenzasse le scelte. Cosa che in effetti è successa: da quel che è emerso, la diminuzione del senso di appartenenza del corpo è associato a scelte più egoistiche e scorrette, che aumentano con il crescere della posta in gioco. In parole povere: meno il nostro avatar è realistico, meno ci sentiamo rappresentati da lui e più siamo disposti a fare scelte moralmente discutibili.

Articolo di Emanuele Capone da La Repubblica

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