“Io sono la guardiana delle tombe di ghiaccio, dove riposano le spoglie di coloro che sono venuti a cambiare il proprio corpo con uno artificiale. Qui anch’io cambiai il mio corpo con uno meccanico e mi misi in viaggio verso altri pianeti. Ma cominciai ad avere nostalgia del mio corpo umano, volevo venire a riprendermelo. Questa sono io come ero prima… nessun corpo artificiale può essere più bello.” – tratto da “Galaxy Express 999 – The Movie” diretto da Rintarō – 1979.

Il bellissimo lungometraggio animato “Galaxy Express 999 – The Movie” è ambientato in un lontano futuro dove le persone più agiate possono pagare per rinunciare alla propria natura umana per evolvere in un artefatto meccanico di tecnologia in grado di conferire loro potere ed immortalità. In questa epoca lontana il giovane Tetsuro si metterà in viaggio per raggiungere un remoto pianeta chiamato Andromeda dove avrà gratuitamente accesso ad una tecnologia che consentirà anche a lui di ottenere un corpo meccanico.

Tetsuro ha già vissuto gli anni più bui della sua vita in povertà, subendo in più l’umiliazione di non essere stato in grado di proteggere sua madre dalla furia del crudele Duca Meccanico, un uomo che rinunciando al suo corpo umano sembra aver rinunciato all’umanità stessa.

La figura della guardiana delle tombe di ghiaccio e quella del Duca Meccanico sono un monito a non trascurare le possibili conseguenze della perdita di un corpo: privata del suo, la guardiana sceglierà di rimanere per sempre accanto alle sue spoglie mortali dalle quali non saprà più separarsi; mentre il Duca Meccanico, spogliato di ogni empatia, passerà il tempo ad uccidere esseri umani, da lui considerati inferiori e non meritevoli di alcuna compassione.

L’ossessione per la Singolarità

Raymond Kurzweil, informatico ed esperto di AI, è uno dei massimi esponenti del movimento transumanista ed il suo pensiero è profondamente influenzato dalla convinzione che presto le intelligenze artificiali raggiungeranno la singolarità tecnologica:

“Una volta entrati nella Singolarità smetteremo di essere creature inermi e primitive, macchine di carne limitate nei pensieri e nell’azione dal corpo che costituisce il nostro attuale sostrato. La Singolarità ci permetterà di superare le limitazioni dei nostri corpi e dei nostri cervelli biologici. Acquisiremo potere sul nostro stesso destino. La nostra mortalità sarà nelle nostre mani.” – Raymond Kurzweil

Il transumanesimo di Kurzweil parte dall’idea che le tecnologie impiantate nell’uomo non vanno viste come sistemi di manipolazione e controllo, bensì come opportunità di potenziamento e miglioramento della struttura stessa dell’uomo. Il corpo umano rappresenta un limite nell’evoluzione ma questo limite può può finalmente essere superato attraverso la tecnologia.

Numerosi ritrovati della tecnica potranno presto spingere l’uomo verso nuovi stadi dell’evoluzione della specie, l’immortalità stessa potrà essere raggiunta mediante la fusione di umano e macchina.

Ma siamo sicuri che l’uomo possa trarre solo beneficio da questa unione?

La metafora dell’uomo-macchina

Nel suo saggio “Vita 3.0”, Max Tegmark fa un interessante excursus sul concetto di vita collocando la tecnologia in una fase ben precisa della sua evoluzione, ovvero immediatamente dopo l’evoluzione biologica (che lui chiama vita 1.0) e l’evoluzione culturale (che lui chiama vita 2.0).

L’evoluzione tecnologica (ovvero, la vita 3.0) consentirà all’uomo di riprogrammare l’evoluzione sia biologica che culturale imprimendo ad entrambe un’accelerazione improvvisa esattamente come ipotizzato dai transumanisti.

“La vita 1.0 non è in grado di riprogettare né il suo hardware né il suo software. La vita 2.0 è umana e biologica e può riprogettare gran parte del suo software (attraverso la cultura), ma non il suo hardware. La vita 3.0, che non esiste ancora sulla Terra anche se è quasi arrivata, è non umana e post-biologica o tecnologica ed è in grado di riprogettare drasticamente non solo il suo software ma anche il suo hardware.” – Max Tegmark

Il fatto che Max Tegmark associ all’evoluzione biologica il concetto di “hardware” ed all’evoluzione culturale il concetto di “software” delle specie viventi, dimostra quanto le sue teorie siano condizionate dall’idea che il mondo animale sia paragonabile al dualismo delle macchine digitali del modello di Von Neumann, ovvero composte da un’unità centrale di elaborazione (la mente) ed un hardware per interagire col mondo (il corpo).

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Le macchine viventi

Organismi primordiali come i batteri, privi di un qualsiasi organo anche solo lontanamente paragonabile ad un sistema nervoso centrale, hanno da millenni la capacità di interagire con il mondo circostante identificando ed inseguendo gli zuccheri di cui vanno ghiotti, ciò grazie ad una dinamica del corpo che opera nella totale assenza di un sistema di elaborazione delle informazioni centralizzato. In un certo qual modo, essi rappresentano una forma di vita chimico-meccanica tanto inconsapevole quanto efficiente.

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Le straordinarie macchine di Theo Jansen rappresentano un interessante studio di ricerca sulla vita attraverso la meccanica. I suoi “Strandbeesten” (ovvero animali della spiaggia) sono creature in grado di muoversi autonomamente, spinte dalla forza del vento.

Copyright Audemars Piguet – https://www.audemarspiguet.com/com/it/news/art/theo-jansen-strandbeest.html

Queste creature “vivono” sulle spiagge e, per evitare di finire in acqua, alcune di esse hanno un sensore realizzato con corde e bottiglie che permette loro di sapere quando sono troppo vicine al mare ed è quindi opportuno cambiare direzione.

“Dal 1990 mi occupo di creare nuove forme di vita. Al posto dei pollini e dei semi ho utilizzato tubi gialli di plastica come materia prima di questa nuova natura. Creo scheletri in grado di camminare col vento, in modo da non aver bisogno di mangiare. Con il tempo, questi scheletri sono diventati sempre più capaci di sopravvivere agli elementi come le tempeste e l’acqua, il mio obiettivo è quello di rilasciare questi animali in branchi sulle spiagge così che possano vivere la loro vita.” – Theo Jansen

Costruite dall’uomo e alimentate dal vento, le macchine di Jansen sono vera rappresentazione della vita oppure no? Se ci limitiamo ad osservare queste specie da prospettiva olistica, possiamo immaginare che la loro esistenza ricalchi in qualche modo quella delle creature primordiali. E se qualcuno dovesse notare l’assenza di azioni che abbiano come scopo l’autoconservazione che accomuna tutte le specie viventi, faccio presente che Theo Jansen è costantemente al lavoro sulle sue creature realizzando specie sempre più evolute nella capacità di muoversi e di sopravvivere.

Individualismo e trans-vita

Se ciò che la natura ha conferito all’uomo ha richiesto migliaia di anni per realizzarsi, siamo veramente convinti di poter comprimere i prossimi gradini della nostra evoluzione in poche decadi guidati da una volontà di autodeterminazione che, in fondo, sembra delirio di onnipotenza?

Se il transumanesimo professa il superamento dei limiti biologici ed il controllo dell’evoluzione della nostra specie, rimpiazzando i sapienti processi biologici di selezione naturale con la tecnologia, lo fa proponendo quello che sembra soltanto una “controllo di versione” del corpo e delle sue parti trascurando il ruolo dell’umanità nel contesto naturale.

Il transumanesimo trascura il fatto che l’evoluzione sia un complesso sistema che non afferisce l’uomo soltanto, ma a tutto l’ecosistema che lo ha cullato per centinaia di migliaia di anni.

Se osserviamo la perdita dell’equilibrio dell’ecosistema, è facile comprendere che un nuovo stadio “trans-umano” basato sulla fusione dell’uomo con la tecnologia non è la risposta ai problemi della natura; al contrario, esso stesso non sarebbe in grado di esistere nell’assenza delle risorse naturali ed energetiche che gli sono indispensabili.

Conclusioni

Il transumanesimo sembra alternativo alla risoluzione dei problemi che affliggono il mondo, l’egocentrica ed individualistica fuga in avanti del singolo che, essendo dotato degli strumenti per farlo, sceglie liberamente di trascurare i problemi di cui la tecnologia stessa è responsabile, per evolvere sé stesso in un nuove forme di esistenza.

Non importa da quale prospettiva si voglia osservare la questione: anche sotto il profilo materialistico, la natura può essere considerata una piattaforma tecnologica estremamente evoluta e l’uomo una emanazione diretta della sua enorme ed ancora indecifrabile complessità. Ed etichettare la morte come un limite della condizione umana rappresenta la volontà di non voler guardare all’evoluzione dalla giusta prospettiva.

Bisogna accettare di essere parte di un ecosistema in grado di restituire il benessere di cui tutti abbiamo bisogno nei limiti della propria esistenza.

Articolo di Gianfranco Fedele

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